progresso umano. Senza addentrarmi in tutte le sfere che la tecnologia può toccare, mi limiterò a quella che più mi compete, ossia quella sportiva.
- misurare in modo sempre più preciso le proprie prestazioni e l’alterazione dei valori biochimici degli atleti;
- avere la possibilità di praticare ovunque sport e discipline (si pensi alle sale cardio nelle palestre);
- divulgazione e accessibilità;
Prendiamo in analisi punto per punto, facendo una conta dei pro e dei contro, in modo che ognuno possa trarre poi le proprie conclusioni.
Tra le direzioni e gli obiettivi della nostra scienza moderna c’è quello di misurare. Parlo di scienza moderna proprio perché quelle antiche avevano un fine più qualitativo. Ad esempio, se l’antica astrologia cercava di capire quali influenze e quali rapporti ci fossero tra i corpi celesti e gli esseri umani, la moderna astronomia, invece, ne misura le distanze e le composizioni.
Grazie ai moderni strumenti tecnologici, ora chiunque è in grado di tener traccia della propria condizione fisica attraverso, per esempio, uno smartwatch oppure utilizzando attrezzature che registrano di volta in volta i chilometri percorsi o i carichi sollevati e che quantificano con dati tangibili una personale condizione fisica. Conoscere questi parametri semplifica il compito di sapere se la nostra prestazione sia migliorata o no.
Sebbene ai fini della performance tutto questo sia davvero utile – lo testimoniano i record battuti di anno in anno in varie attività, come la corsa o il nuoto -, la mia preoccupazione sta nel rapporto che abbiamo con questi strumenti e nella maniera in cui essi ci influenzano.
Tutti noi abbiamo quel parente o quell’amico che non esegue mai i dovuti controlli di salute e sta comunque sempre bene; c’è però chi, facendo numerose visite mediche proprio a scopo preventivo, finisce per essere spesso in lotta con qualche problematica che magari non sapeva di avere. La mia riflessione verte sul fatto che siamo degli esseri davvero complessi e che non abbiamo ancora compreso proprio tutto, anzi! Una visione parziale, seppur accurata, può molte volte causare più danni che la cosiddetta beata ignoranza.
Ricordo che durante un pre-ricovero, in vista di un intervento medico a cui dovevo sottopormi, dalle analisi al cuore risultò che, in quel momento, avevo solo 39 battiti al minuto. Per mia fortuna, non ho mai avuto uno smartwatch che mi contasse i battiti, perché, se lo avessi scoperto da me, forse avrei fatto ricerche su internet che mi avrebbero portato a temere la mia morte imminente o ad adottare qualche soluzione fai da te che avrebbe finito per causarmi un vero problema. Ovviamente, la cardiologa del caso mi convocò per approfondire e i risultati furono talmente rassicuranti che mi chiese se potessi iniziare ad allenare sua figlia. In sostanza, il mio cuore stava bene, anzi pare stesse decisamente molto bene.
Quello che voglio dire è che i dati e i parametri, che hanno degli standard di riferimento, sono in realtà estremamente variabili per ognuno di noi, e la loro visione parziale non descrive la realtà nella sua interezza; quindi, un monitoraggio superficiale è di gran lunga peggiore di nessun monitoraggio. Oltretutto, ognuno di noi sviluppa costantemente problematiche che però il corpo di un individuo sano, nel 99% dei casi, gestisce senza che ci sia necessità di alcun intervento. Ad esempio, in ogni essere umano si generano, nel corso della vita, diverse cellule tumorali maligne ma, per fortuna, questo non è sufficiente perché si sviluppi un cancro, in quanto il nostro sistema immunitario è progettato per intervenire e reagire. Quindi, a patto che l’organismo non fallisca, questo fatto non rappresenta di per sé un problema.
Ma cosa accadrebbe se monitorassimo 24 ore su 24 i nostri parametri, seguendo la logica per cui “la prevenzione viene prima di tutto”? Probabilmente ci sottoporremmo a una terapia a ogni minimo segnale.
Per quanto riguarda la possibilità di praticare sport ovunque, bypassando le problematiche ambientali, ad esempio, possiamo certo dire che, se fuori sta piovendo, poter correre su un tapis roulant è una gran cosa. Tuttavia, il nostro corpo è progettato per fare esperienza in un ambiente differente, più irregolare, e il correre su una superficie artificialmente piatta e liscia come il rullo del
tapis roulant fa sì che molte strutture corporee non vengano sollecitate. Per non parlare della monotonia dell’ambientazione: invece di goderci il paesaggio di una corsa in natura, i moderni tapis roulant hanno lo schermo integrato per farci guardare la nostra serie su Netflix. Tuttavia, anche questo ha il suo prezzo, perché focalizzarci su uno schermo atrofizza la muscolatura oculare, cosa che non accade se siamo stimolati a guardarci attorno, a osservare oggetti più o meno lontani, piccoli o grandi, fermi o in movimento che siano.
Anche una piscina con onde artificiali può essere davvero soddisfacente per un surfista che magari abita lontano dal mare. Un vero surfista, però, sa che l’essenza stessa di questo sport è proprio il rapporto col mare, così come sa che i grandi insegnamenti – che si custodiranno a vita – arrivano proprio dall’elemento naturale.
Infine, troviamo il tema della divulgazione. Qui, mi sento profondamente grato, soprattutto perché penso a quanto ho potuto apprendere grazie alla rete; informazioni che prima erano lontane e inaccessibili sono diventate ora alla portata di tutti. Tuttavia, col tempo, ho anche notato che molte nozioni trovate erano solo la brutta copia di ciò da cui realmente attingevano. Mi spiego meglio: quello che in Occidente spesso viene chiamato yoga è invece definito solo stretching.
Un aspetto dell’online, che è ben più grave però, è la propensione a spostare l’attenzione dall’essere all’apparire, un fenomeno che tocca la maggior parte delle persone negli ultimi decenni. Il risultato è che chi si lascia influenzare da questo non si sente mai bravo abbastanza, spesso ingannato da video e foto montati ad hoc o da contenuti scopiazzati malamente da fonti casuali per inseguire il trend del momento.
Mi concedo un’ultima riflessione sul concetto del momento, che è ciò che più mi spaventa se guardo al futuro e che, allo stesso tempo, mi fa credere che il mio lavoro sia importante.
Siamo spettatori di una rivoluzione tecnologica senza precedenti, dove ciò che fino a poco fa era tema da film di fantascienza sta entrando a gamba tesa sulle nostre gengive e dove gli sviluppi nel campo della robotica e degli innesti nell’uomo galoppano fin troppo velocemente. È senz’altro bellissima l’idea che un uomo che, ad esempio, ha perso le gambe possa tornare a camminare. Quando però la cosa uscirà dal campo di applicazione strettamente medico e sfocerà in altri ambiti, immagino, per esempio, che saranno in molti a valutare di barattare un faticoso allenamento con una protesi!
Ma quel che fa ancora più stupore e paura è che siamo anche sempre più vicini a quello che, vedendo Matrix, nel 1999 sembrava solo un sogno. Ricordate la scena in cui Neo veniva addestrato tramite il computer? Stando semplicemente seduto sulla poltrona, avvia un download di dati, ad esempio, relativi alle tecniche di kung fu. Oppure si può pensare che oggi, nel metaverso, vengono utilizzate riproduzioni 3D di organi per studiare e migliorare le tecniche di operazione chirurgica, il che è straordinario.
Ciò a cui si punta è proprio collegare il cervello umano alla rete, prelevando direttamente le competenze ricercate. Ciò che quindi mi domando è: quanti preferiranno scaricare facilmente quello che interessa piuttosto che faticare per apprenderlo? Quanti conosceranno ancora il valore dello sforzo e del sacrificio? In ambito sportivo, ad esempio, penso a quanto sia complessa e lunga la strada per padroneggiare a pieno la verticale. Ai primi tentativi, si ha la sensazione che probabilmente sarà un’impresa impossibile – in fondo, nella vita, a che serve saper stare in equilibrio sulle mani? Ma se non si molla, la costanza ripagherà. E questa è la vera magia. Il vero valore di imparare una verticale è far diventare possibile ciò che sembra impossibile. Se ci riusciremo, non avremo conquistato solamente la verticale in sé ma avremo conquistato noi stessi; non sarà la verticale in sé a contare ma la strada compiuta mentre è stato raggiunto l’obiettivo. Se invece ci fosse un accesso diretto al risultato finale, niente avrà più davvero senso. Una persona non diventa forte perché ha imparato a stare in equilibrio sulle mani, diventa forte perché ha scoperto che può rendere possibile l’impossibile.