Una parola di cui si sente sempre più spesso parlare, visto il dilagare di discipline olistiche negli ultimi anni, è radicamento.

La prima volta che ho incontrato questo concetto fu grazie a Bruce Lee. Vedere come, con i suoi colpi, spostasse avversari decisamente più grossi di lui, spazzandoli via come foglie al vento, lo faceva apparire agli occhi del me bambino come un personaggio di Dragonball. Da allora, si insinuò nella mia mente un tarlo: dovevo capire, decodificare cosa significasse attingere la forza dalla terra, come Bruce Lee e molti altri marzialisti predicano. In molti altri contesti, da lì in avanti e a più riprese, ho sentito parlare di radicamento. Ma, appunto, sentito parlare e basta.
Fu l’incontro con un grande atleta e performer che segnò un punto di svolta nella mia ricerca. In un viaggio in Marocco all’insegna del surf, ebbi il piacere di incontrare Dario Nuzzi, un grande professionista del fitness nonché collaboratore del marchio Vibram. Dario mi mise in contatto con Daniele Doria – che potremmo descrivere in maniera estremamente riduttiva come un acrobata -, intuendo il potenziale esplosivo di un nostro incontro.
Sebbene Daniele fosse fisicamente più piccolo di me e la sua preparazione non fosse di stampo strettamente marziale, mi sollecitò a provare a spostare il suo corpo, mentre lui non faceva altro che scaricare il suo peso a terra. Mi fu assolutamente impossibile. “Finalmente, non più solo chiacchiere!”, pensai. La sua preparazione, comprensiva di esercizi di equilibrio, gli aveva ben insegnato l’importanza di un solido appoggio, cosa che ovviamente cercai in tutti i modi di apprendere e poi affinare.

Per rendere l’idea della differenza di forza che può generare la capacità di radicarsi, si può immaginare la situazione in cui dobbiamo spostare un mobile pesante. Se il mobile si trova a una distanza dal muro tale da permetterci di far leva su esso, il lavoro sarà molto agevolato; viceversa, se il mobile si trovasse in mezzo la stanza senza darci la possibilità di un punto di appoggio, probabilmente non riusciremmo neanche a muoverlo, ma saremmo noi a venire spostati.

Per quanto nei vari corsi yoga e altri contesti in cui esercizi di radicamento vengono proposti ai partecipanti, ci si avvale principalmente di visualizzazioni, con il rischio di far diventare questo concetto di radicamento molto astratto – come quando, in medesimi contesti, si parla di aurea o chakra.
In effetti, tutto questo è un paradosso, in quanto non dovrebbe esserci concetto più terreno del radicare. Certo, le visualizzazioni per cui dalle nostre piante dei piedi nascono radici che affondano nel terreno e la comunione con la Pachamama da cui attingere forza sono immagini suggestive e non del tutto inutili; tuttavia, non ritengo questo approccio molto funzionale per il tipo umano che siamo e, soprattutto, manca di un banco di prova per capire se davvero stiamo facendo ciò di cui stiamo parlando.
Raramente ho visto persone che si ritengono così esperte in qualcosa senza sapere davvero di cosa parlano, come quelle che hanno a che fare con il radicamento. Nonostante questa loro convinzione, la mia tecnica è risultata vincente e le ha letteralmente “spazzate via”. Mi hanno chiesto quale fosse il mio trucco, come se fossi a conoscenza di una qualche arte segreta, ma temo che la semplice verità sia che troppo spesso “chi non sa insegna”.

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