Non tutti i combattenti sono guerrieri, non tutti i guerrieri sono combattenti. Cos’è dunque un guerriero e cosa vuol dire percorrere questa via?
La storia umana ha partorito, a più riprese, corpi militari di eccellenza, i quali, a prescindere dalla collocazione geografica e storica, sono stati accomunati da un principio fondamentale: il culto della morte.
Ricordarsi che inevitabilmente dovremo fare i conti con questo passaggio trasforma la morte stessa dal peggiore dei nemici al più grande degli alleati, poiché l’unico vero nemico dei nostri sogni sono i limiti che ci poniamo, per via di una timidezza e di una prudenza che, in ogni caso, non potranno salvarci.
In genere, siamo più predisposti a dare retta a quel dio auto-tranquillizzante nascosto in noi, che ci porta a pensare che avremo sempre tempo per poter fare i conti con la morte. Anche per questo motivo, la maggior parte delle persone oggi teme talmente tanto l’idea del proprio trapasso al punto da illudersi che non arriverà mai o, semplicemente, preferisce evitare del tutto il discorso.
Il motto di Cavallo Pazzo (condottiero indiano sempre in prima linea durante gli scontri e mai sconfitto in combattimento dagli Americani – cosa che sappiamo proprio grazie alle cronache di battaglie che loro stessi ci hanno lasciato) era “Hoka Hey”, che significa: “oggi è un buon giorno per morire”.
Non si tratta di un feticismo verso la morte ma, al contrario, una venerazione per il dono della vita, troppo spesso dato per scontato.
Infatti, per esempio, citando Katsumoto (personaggio del celebre film “L’ultimo dei samurai”), la costante consapevolezza della morte è ciò che può permetterci di riconoscere “la vita in ogni respiro”. E qualcuno sarà anche stato testimone di persone che, dopo un faccia a faccia con la Nera Mietitrice, hanno rivoluzionato la propria esistenza, migliorandola. Spartani, samurai, vichinghi – solo per citarne alcuni – traevano la loro forza proprio da questo principio vivificante.
Ma, in fondo, che differenza c’è tra una quieta vita in cui si fa di tutto per rendere confortevole il proprio soggiorno, cercando di nascondersi e rimandare il più possibile l’incontro con la Signora in Nero, e una vita in cui, in qualche modo, ci si cammina a braccetto? (Non che la si cerchi, eh!)
Qui, torna il concetto di casualità e destino, ossia: se siamo al mondo per un motivo, se esiste una qualche missione a cui la nostra anima è destinata, l’atteggiamento di timidezza e prudenza nei confronti della vita non ci assicurerà in alcun modo un’esistenza davvero agiata e confortevole. Per quanto ci sforziamo, ci saranno sempre problematiche che cercheranno di farci uscire dal nostro nascondiglio.
Siamo tutti diversi gli uni dagli altri e, come tali, anche il nostro scopo non può che essere estremamente personale. Il fattore comune è, invece, l’atto di trascendere la nostra parte più egoica, che è quella, appunto, che ci fa inseguire le sicurezze ed è soggetta alle passioni e ai desideri più terreni. La parte che, come una zavorra, non ci permette il decollo. Ed è proprio la figura del guerriero che, nelle società antiche tradizionali, ha maggiormente personificato questo concetto, ovvero quello di un essere che, dimenticandosi totalmente di se stesso, si scaglia nella mischia senza timore, anzi felice di poter, forse, trovare la propria ascesi.
Oggi possono esistere diversi tipi di guerrieri: anche una mamma, a suo modo, è una guerriera, che, per amore dei suoi figli, si annulla nei loro bisogni.
Ecco perché ho iniziato il discorso dicendo che non tutti i combattenti sono guerrieri e viceversa.
Un soldato, uomo al soldo, per quanto possa essere un valido combattente, non sarà mai un guerriero, se non sposa una causa più grande di lui e se a muoverlo sarà la paura di qualcosa e non l’amore per qualcosa.

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