A chi si rivolge l’allenamento?
Da un punto di vista di requisiti fisici, direi: a chiunque.
Nonostante io ami allenare ragazzi in età adolescenziale – perché è una fase della vita in cui si ha una carica e un potenziale davvero esplosivi -, una delle convinzioni (a mio parere errate) con cui spesso mi sono scontrato, anche quando ho avuto il piacere di collaborare con professionisti di alto livello nei più svariati ambiti sportivi, è questa: prima di intraprendere certi percorsi, è meglio essere preparati. In realtà, l’allenamento viene sempre cucito su misura e ognuno ha il proprio “punto zero” da cui partire. Lo “zero” di qualcuno potrà essere il “cento” di qualcun altro, ma questo poco importa, poiché l’obiettivo è strettamente personale e non bisogna temere se si ha una qualche carenza: sarà mio compito prendermene cura e trovare la strada per avanzare.
Al di là dei requisiti fisici però, voglio aggiungere che il mio allenamento vuole essere soprattutto un’esperienza di gioco, un ritorno all’esplorazione del mondo e di se stessi, usando il corpo come mezzo e strumento.
Sebbene sia mio compito costellare il percorso di allenamento di attenzioni rivolte a temi a noi tanto cari – come curare l’aspetto fisico, preservare e migliorare la salute o difendersi in situazioni di pericolo -, è anche mia premura andare oltre. O, forse, è meglio dire: tornare indietro. Tornare a quel modo d’essere giocoso e istintivo del bambino e abbracciare a pieno l’esperienza che la vita vuole offrire, superando i condizionamenti che ci hanno portato, invece, ad avere blocchi fisici o limiti mentali che non ci permettono di stare bene davvero.
Perché vedo l’allenamento in questo modo?
Recentemente, quando si è trattato di apprendere qualcosa di nuovo – dato che anche io sono uno studente e continuerò a esserlo fino all’ultimo dei miei giorni -, mi sono sentito dire più volte: “sei portato”. La verità è che, per buona parte della mia infanzia, sono stato invece quello che viene definito “negato”.
A causa di una scoordinazione (per l’esattezza, una coocontrazione muscolare sistemica), ogni gesto era per me più difficile e faticoso del dovuto. Grazie a un preparatore atletico – che porterò sempre nel cuore per essere stato in grado di accorgersene -, iniziai a lavorarci e pian piano ho risolto il problema, o meglio: ne sono diventato consapevole al punto da poterlo gestire.
Per grazia celeste, sono anche dislessico, ma questo non mi ha impedito di sviluppare e continuare a coltivare una passione per la letteratura e la poesia.
Non dico tutto questo per suscitare compassione. Ciò che voglio dire è che ognuno ha il suo personale punto di partenza, i suoi talenti e i suoi ostacoli. Le mie difficoltà, in maniera inconsapevole, sono diventate dei miei punti di forza, perché la fatica che ho dovuto mettere nel processo di apprendimento mi ha stimolato a trovare modi alternativi per imparare. Ed è forse proprio questo che hanno contribuito a rendermi una guida solida e pronta ad aiutare.