È per me di fondamentale importanza chiarire che tutti gli approfondimenti che affronto hanno come solo scopo quello di essere input per sviluppare riflessioni.
Non sono un accademico, non posseggo titoli di studio certificati da università o istituti. Sono però una persona che, mossa da sentita passione e forte curiosità, indaga sui misteri dell’esistenza, al fine di trovare insegnamenti pratici per migliorare la propria vita e il mondo intorno.
Niente di ciò che espongo va preso per oro colato – anche se, suppongo, questo dovrebbe essere un atteggiamento da acquisire a priori nei confronti di chiunque -, proprio perché ogni individuo ha le sue verità, non trasferibili da un uomo a un altro, in quanto figlie di circostanze uniche e appartenenti alla singola esistenza.
Come diceva José Ortega y Gasset (filosofo spagnolo del secolo scorso, sostenitore del circostanzialismo): “Quando insegni, insegna allo stesso tempo a dubitare di ciò che insegni”.
Sebbene abbia sempre nutrito il gusto per la scrittura, sia in prosa sia in poesia, negli ultimi anni mi è diventato sempre più difficile dedicarmici, a causa di due pensieri che si presentavano puntuali ogni volta che stavo per prendere in mano la penna.
Il primo è che, col tempo, mi è sembrato sempre più impossibile che si potesse comunicare davvero il proprio pensiero. Ognuno vede il mondo attraverso una personale visione delle cose, e l’idea di non avere il controllo su ciò che le persone potessero leggere nelle mie parole mi convinceva che scrivere sarebbe stato addirittura un’attività controproducente.
Il secondo pensiero è più che altro un dubbio: ciò che penso conta davvero qualcosa al punto che qualcuno debba perdere tempo per leggerlo?
È evidente che abbia superato l’impasse. Ritengo che non fare niente con la scusa di non poter fare tutto sia una pessima abitudine. E se la mia natura e il mio cuore mi chiedono di essere un chiacchierone, non saranno la mia paura e la mia mente a fermarmi.
Le logiche di marketing suggeriscono inoltre di essere sintetico, immediato, altrimenti si rischia di annoiare e perdere l’interlocutore. Questo perché l’attenzione media è sempre più bassa. Una tendenza esemplificativa, tipica del nostro tempo e delle nostre vite frenetiche fatte di fast food, audiolibri e consegne veloci, è che l’uomo oggi pare aver perso soprattutto la pazienza, insieme all’attenzione. Io, per essere onesto, non sono quel genere di trainer che promette risultati sicuri e immediati. Non mi importano; sono più in linea con il proverbio africano che dice “ciò che cresce lentamente mette radici profonde”.
A ogni modo, è bene essere semplici e sintetici quando si può.
Una frase attribuita ad Albert Einstein cita: “non hai veramente capito qualcosa finché non sai spiegarlo a tua nonna”. La realtà è davvero complessa ma anche le cose complesse possono essere dette in maniera semplice.
Diversa, però, è la tendenza a voler semplificare tutto: online si trovano fin troppe schede di allenamento che garantiscono a chiunque di poter raggiungere la spaccata completa in 30 giorni, per esempio. La cosa buffa è che qualcuno, leggendo, pensa anche: “30 giorni: così tanto?”.
Non nego che, soprattutto quando ho iniziato a scrivere questi pensieri come premessa, ho avuto anch’io la sensazione di dovermi adeguare e “farla breve”, in modo accattivante, parlando a suon di slogan.
Fedele a me stesso, ho deciso invece di dedicare a ogni cosa lo spazio e il tempo che ritenevo davvero necessari, cercando di essere esaustivo senza cadere nel superfluo e concependo il tutto come un organismo, un corpo unico composto da singole parti interconnesse – cosa che caratterizza anche la realtà.